mercoledì 27 gennaio 2021

IN CAMMINO VERSO LA SINODALITA’

 

 



 

Paolo Cugini

 

In vista dei Consigli Pastorali parrocchiali che realizzeremo nel mese di febbraio, condivido alcune riflessioni sul modo di stare insieme e di prendere decisioni, conforme al Vangelo.

 

 

Non è facile pensare e decidere insieme. Non è facile perché, prima di tutto, non ci siamo abituati. Sinodalità rimanda ad un concetto fondamentale della chiesa di Gesù Cristo, vale a dire il principio di uguaglianza, che considera tutte le persone della comunità come fratelli e sorelle. La chiesa è sinodale quando non solo ascolta tutti, ma non giudica nessuno inferiore, non mette nessuno nell’impossibilità di poter esprimere il proprio parere.  Per sedersi attorno allo stesso tavolo per prendere delle decisioni insieme – è questo il senso della sinodalità – occorre che nessuno si consideri superiore dell’altro.  

È umanamente difficile vivere la novità che Gesù è venuto a portare al mondo. Per chiamare le persone di una comunità fratelli e sorelle, per considerarli uguali, occorre compiere un cammino di conversione radicale, un cambiamento di mentalità, un passaggio da un modo di concepire la realtà ad un altro. Il Vangelo è, infatti, prima di tutto uno stile, un modo di stare al mondo, un modo di rapportarsi con gli altri. Gesù continuamente sollecita i suoi discepoli e le sue discepole ad essere differenti, a non utilizzare le stesse logiche del mondo: “tra di voi non sia così, ma chi vuole essere il primo sia l’ultimo”. Se nella vita quotidiana siamo continuamente immersi e sollecitati da logiche di potere, da relazioni di arroganza in cui ci viene sempre ricordato in modo implicito od esplicito che siamo inferiori rispetto a qualcuno che ha più potere di noi, con Gesù tutto questo non accadeva. Infatti, Il Signore metteva a proprio agio chiunque, lo faceva sentire bene, un fratello, una sorella. 

Molti poveri lo seguivano non solo perché faceva miracoli, ma per le parole che uscivano dalla sua bocca, per il modo inclusivo ed accogliente di manifestarsi al mondo. In Gesù nessuno si sentiva giudicato o condannato. Lo diceva continuamente lui stesso: non giudicate, non condannate, siate misericordiosi. Anche nella relazione con i peccatori Gesù ha sempre mostrato molta delicatezza. Non li ha mai accolti, infatti, buttandogli addosso il peso delle loro colpe, ma si dirigeva loro con amore e misericordia e, solo alla fine della relazione, ricordava loro di non tornare a peccare.

Gesù è venuto al mondo e ci ha presi così come siamo, non ci ha fatto la morale, è morto per noi e ci ha indicato una via: la sua vita. Ha considerato ogni persona nella sua dignità, l’ha valorizzata per quello che era: ha dato a ciascuno di noi la possibilità di rialzarsi e riprendere il cammino. Non ha creato delle differenze di grado, non si è mai fatto servire, ma lui stesso si è abbassato per servire i suoi discepoli e le sue discepole sino al punto da lavargli i piedi.

La sinodalità dice di uno stile di relazione che considera tutte le persone uguali, che non fa distinzione tra uomini e donne, bianche e neri, ricchi e poveri. Gesù ha dimostrato con l’esempio che è possibile costruire un cammino di sinodalità abbassandosi, mettendosi a livello dell’interlocutore, camminando con loro, condividendo le gioie e le sofferenze. Una chiesa sinodale è possibile quando assomiglia allo stile di Gesù, che si è abbassato, si è fatto uno di noi, non aveva titoli o paramenti che lo differenziavano. Una chiesa è sinodale quando, sull’esempio di Gesù, non si mette in cattedra, ma con umiltà si mette in cammino con le persone, coinvolgendole nei processi formativi.  

Sinodalità significa abitare la pluralità e questo è possibile solamente se accettiamo la differenza come elemento costitutivo del progetto di Dio. È lui, infatti, il colpevole! È Lui che ci ha fatti diversi e ci ha chiamati all’unità. Nella comunità cristiana, specchio della Trinità, l’unità non s’identifica con l’uniformità, ma esige la diversità. Il Vangelo, in questa prospettiva, è il miglior collirio che cura le nostre rigidità, che lenisce le nostre durezze, che ci porta ad accogliere l’altro per quello che è, liberandoci dalle nostre precomprensioni culturali.

 

Nessun commento:

Posta un commento