Discorso
ai partecipanti all’incontro promosso dall’Ufficio Catechistico Nazionale della
CEI
Papa Francesco, 30 gennaio 2021
Sintesi di don Paolo
Cari fratelli e sorelle, Vorrei condividere tre punti che
spero possano aiutarvi nei lavori dei prossimi anni. Il primo: catechesi e
kerygma.
La
catechesi è l’eco della Parola di Dio. Nella
trasmissione della fede la Scrittura è «il Libro; non un sussidio, fosse pure
il primo». La catechesi è dunque l’onda lunga della Parola di Dio per
trasmettere nella vita la gioia del Vangelo. Grazie alla narrazione della
catechesi, la Sacra Scrittura diventa “l’ambiente” in cui sentirsi parte della
medesima storia di salvezza, incontrando i primi testimoni della fede. La
catechesi è uno spazio privilegiato per favorire l’incontro personale con Gesù.
Perciò va intessuta di relazioni personali. Non c’è vera catechesi senza
la testimonianza di uomini e donne in carne e ossa. Questo esige
dall’evangelizzatore alcune disposizioni che aiutano ad accogliere meglio
l’annuncio, vicinanza, apertura al dialogo, pazienza, accoglienza cordiale che
non condanna».
Il
secondo punto: catechesi e futuro. La catechesi ispirata
dal Concilio è continuamente in ascolto del cuore dell’uomo, sempre con
l’orecchio teso, sempre attenta a rinnovarsi. Questo è magistero: il
Concilio è magistero della Chiesa. O tu stai con la Chiesa e pertanto
segui il Concilio, e se tu non segui il Concilio o tu l’interpreti a modo tuo,
come vuoi tu, tu non stai con la Chiesa. Per favore, nessuna concessione a
coloro che cercano di presentare una catechesi che non sia concorde al
magistero della Chiesa. Dalla radice della Parola di Dio, attraverso il tronco
della sapienza pastorale, fioriscono approcci fruttuosi ai vari aspetti della
vita. Non dobbiamo avere paura di parlare il linguaggio della gente. Non
dobbiamo aver paura di ascoltarne le domande, quali che siano, le questioni
irrisolte, ascoltare le fragilità, le incertezze: di questo, non abbiamo paura.
Non dobbiamo aver paura di elaborare strumenti nuovi.
Terzo
punto: catechesi e comunità. In questo anno
contrassegnato dall’isolamento e dal senso di solitudine causati dalla
pandemia, più volte si è riflettuto sul senso di appartenenza che sta alla base
di una comunità. Il virus ha scavato nel tessuto vivo dei nostri territori,
soprattutto esistenziali, alimentando timori, sospetti, sfiducia e incertezza.
Ha messo in scacco prassi e abitudini consolidate e così ci provoca a ripensare
il nostro essere comunità. Abbiamo capito, infatti, che non possiamo fare da
soli e che l’unica via per uscire meglio dalle crisi è uscirne insieme –
nessuno si salva da solo, uscirne insieme –, riabbracciando con più convinzione
la comunità in cui viviamo. Perché la comunità non è un agglomerato di singoli,
ma la famiglia in cui integrarsi, il luogo dove prendersi cura gli uni degli
altri, i giovani degli anziani e gli anziani dei giovani, noi di oggi di chi
verrà domani. Solo ritrovando il senso di comunità, ciascuno potrà trovare in
pienezza la propria dignità.
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