Paolo Cugini
Ho incontrato in queste
prime settimane di accompagnamento pastorale delle quattro parrocchie a me
affidate, vari gruppi del post cresima e anche giovani ventenni. Mi ha molto colpito
la loro disaffezione alla messa. L’altro giorno una mamma mi chiedeva alcuni
consigli per convincere suo figlio adolescente ad andare a messa. Il problema
non è di facile soluzione e pone interrogativi sia sul modo d’intendere la
messa, sia sul percorso di formazione religiosa da compiere con gli
adolescenti.
La messa,
nell’educazione religiosa dei bambini, è spesso e volentieri rivestita di una
serie di ricatti morali che gli adolescenti non accettano più. I genitori obbligano i propri figli ad andare a messa. Quante volte
assistiamo alla pessima scena dei genitori, o di uno dei due, che arriva in
macchina davanti alla chiesa e “scarica” letteralmente il proprio figlio per
andare alla messa. È chiaro che, se la messa è presentata tra le pareti di casa
come un dovere, un obbligo legato alla possibilità poi di ricevere i
sacramenti, terminato l’itinerario obbligatorio termina anche la frequenza alla
messa. Non è il contenuto che è rifiutato, ma le motivazioni esterne per
“convincere” i figli a frequentare le messe domenicali. Un genitore trasmette contenuti e valori ai propri
figli molto più con i gesti che con le parole. Se scarica il proprio figlio alla domenica
davanti alla chiesa quel genitore sta comunicando che per lui la messa non vale
nulla. E così il figlio che per anni è stato scaricato davanti alla chiesa,
appena potrà non metterà più piede in quello spazio. Sappiamo bene che questo
fenomeno avviene non solo per i ragazzi di genitori non credenti, ma anche di
genitori assidui alla Chiesa. In questo caso la situazione è ancora più pesante
perché si riveste di sensi di colpa. Se, infatti, i genitori non credenti se ne
infischiano se i propri figli, dopo aver ricevuto il sacramento della cresima,
non frequentano più la parrocchia, ben differente è la situazione dei genitori
credenti, che non si danno pace quando i propri figli cominciano manifestare
segni d’insofferenza con il mondo religioso.
Il problema del rapporto
trai ragazzi e i riti religiosi va ricercato più a monte. La
proposta religiosa esige la libertà. Quando Gesù chiamava i
suoi discepoli proponeva un cammino con un messaggio e non obbligava nessuno.
Non si può legare, oggi più che mai, la proposta del Vangelo con il percorso
scolastico. Non si può obbligare nessuno a credere
in Dio, tanto meno un bambino o un giovane. Questo a mio avviso è il centro del colossale paradosso religioso che la
nostra epoca sta vivendo. La psicologia della religione ci insegna che il
bambino è predisposto a cogliere Dio nella propria vita. Anche la filosofia
della religione ci insegna che l’uomo e la donna sono ontologicamente
religiosi. Se negli adolescenti sorge un dissapore con la chiesa e un’opposizione
a Dio, ciò va cercato nel modo di comunicarlo. Sembra che ce la stiamo mettendo
tutta per distruggere il naturale sentimento religioso dei ragazzi. Il dato
drammatico è che coloro che stanno compiendo questa operazione scellerata siamo
proprio noi che crediamo in Dio. Se, ad un certo punto del cammino, Dio non è colto più come amore, come
necessità intrinseca, ma come una cosa pesa e inutile, significa che qualcosa
non è funzionato nel modo di accompagnare i bambini nel mistero di Dio.
Negli spazi parrocchiali, nei quali dovrebbe
avvenire l’accompagnamento ai percorsi di fede a tutti i livelli, stiamo
impartendo un insegnamento forzato, sapendo che (le statistiche ce lo ricordano
tutti i giorni), terminato il cammino dell’iniziazione cristiana la stragrande
maggioranza non metterà più piede in chiesa. Se questo modello catechistico
poteva funzionare nei decenni passati, oggi non funziona più. La domanda che
emerge immediatamente è la seguente: se lo sappiamo perché continuiamo a farlo?
Se da decenni sappiamo che i ragazzi terminata la Cresima abbandoneranno la
chiesa, perché continuiamo a proporre la proposta di Gesù in questo modo? Non
sarebbe meglio cambiare modalità? Ci vuole così tanto a capire che è l’ora di
cambiare?
Se siamo
convinti che l’epoca della cristianità è finita, allora bisogna accompagnare
questa presa di coscienza con scelte pastorali all’altezza dei tempi. Se dei genitori non credenti si sentono in dovere
di costringere i loro figli a partecipare della messa domenicale e dei percorsi
di catechesi, è perché la fede più che essere una risposta personale ad un
appello, è un fenomeno collettivo, sociale. E allora, pur di far sentire i
propri figli socialmente “normali”, i genitori non credenti o agnostici o
indifferenti, si sottopongono a sette/otto anni di lavori forzati accompagnando
i propri figli nei perimetri ecclesiali. Fino a quando i preti, i
catechisti saranno costretti a perdere tempo per sorreggere questa barca di
carta che fa acqua da tutte le parti? Fino a quando le parrocchie
dovranno continuare ad offrire i servizi educativi più disparati pur di
attrarre nei propri perimetri i ragazzi, che entrano in questi benedetti
perimetri a fare tutto fuorché l’essenziale (religiosamente parlando)? Fino a
quando dovremo continuare a sforzarci ad inventare qualcosa per attrarre
bambini e ragazzi su qualcosa che poi abbandoneranno? Fino a quando dovremo
mantenere in piedi un sistema catechistico per garantire qualcosa che sappiamo
sin dall’inizio che non avrà seguito?
Come sarebbe bello vivere l’esperienza del Vangelo come una proposta libera! Forse non ci sentiremmo stressati dal
dovere costruire e poi di riempire spazi, anche perché forse capiremmo che il
messaggio di Gesù andava esattamente dalla parte opposta.
Secondo me non è necessario porsi queste domande perché se non c'è interesse, allora forse è meglio lasciar perdere perchè alla fine è una presa in giro per quelli che non credono più e anche per Dio.....però un idea sarebbe quella di magari continuare a fare catechismo anche dopo la cresima...come già fa la terza.....però anche io ho cambiato idea...quando c'era don Victor diciamo che mi " annoiavo" un pochino...perchè non coinvolgeva gli argomenti che anche a noi ragazzi potrebbero servire.....tu invece comunque ci tieni a far andare i ragazzi in chiesa.....e sinceramente mi sento molto più coinvolta di prima.... quindi secondo me non deve essere un obbligo....e la chiesa in questo per i miei gusti non dovrebbe cambiare niente....l'unica cosa che sarebbe una " speranza" è appunto quella di coinvolgerei ragazzi anche dopo la cresima in modo da continuare a frequentare
RispondiEliminaBuonasera Don Paolo, Io penso che come lei ha già detto i ragazzi ovviamente non si devono sentire obbligati ad andare in chiesa ma devono avere la voglia e l'interesse di partecipare alla messa e ai vari progetti. Poi mi sono arrivate voci di alcuni ragazzi che pensano, che andando anche a scuola il sabato ( non tutti ) la domenica sia l'unico giorno in cui si può riposare invece che andare a messa, ma io sono completamente contrario a questa opinione perché non tutti devono venire per forza come facciamo io , Gabriele , Mauro ..... che veniamo anche con un' ora di anticipo . Semplicemente basta alzarsi verso le 9:30 e venire in chiesa per le 10:00. Questo è come la penso io e proporrei di far continuare il catechismo anche ai ragazzi che hanno già fatto la cresima e non farlo fare solamente a chi ancora deve farla perché magari il catechismo può essere uno di quei progetti che avvicina di nuovo i ragazzi che una volta finito il catechismo hanno abbandonato questo percorso utile anche per far incontrare i ragazzi , soprattutto i più grandi . Questa é la mia opinione e una mia proposta. ��A presto.
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